FUORI REPERTORIO

OPSÌA

coreografia e danza Paola Bianchi
musica Fabrizio Modonese Palumbo
tela Andrea Chiesi
luci Paolo Pollo Rodighiero
parole silenti Ivan Fantini
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia

Non ho bisogno di voce, è il corpo che parla, posso fare a meno della voce, è il corpo che canta…
Ivan Fantini 

OPSÌA, parola sparigliata, secondo elemento di parole composte, parola che s’insinua negli interstizi della visione, nelle pieghe. Nella vicinanza dell’azione coreografica lo sguardo si fissa sul corpo, ne segue i contorni, l’alterazione della pelle, il dettaglio, entra nella vibrazione interna per comprenderne il disegno. La vicinanza attiva la sensibilità dello stare, la pelle si fa palcoscenico, si fa tavola su cui la coreografia si espone; lo spazio interno del corpo, i suoi confini dettati dalla pelle diventano spazio esterno, il luogo stesso della sua azione. 
OPSÌA  origina dal libro animanimale di Ivan Fantini e Andrea Chiesi, un doppio racconto per parole e immagini che si sono fissate nel mio corpo e hanno agito sulle forze interne deformandolo. Parole come solchi su cui l’azione s’innesta, luoghi di sosta senza pace per un “umano del genere umano”, esposto.


"L’artista parte da una tela di Andrea Chiesi e dal libro animanimale di Ivan Fantini per tradurre l’una come le altre in dei movimenti coreografici, o più materialisticamente in fremiti e coreografie della pelle. In questo senso, se immagini e parole sono definibili come traduzioni dell’interiorità di chi le ha dipinte / scritte, ci troviamo con Opsìa di fronte alla traduzione di una traduzione. Il corpo di Paola Bianchi libera attraverso il corpo quella che è l’essenza della tela di Chiesi e dei ragionamenti di Fantini. Se si volesse concepire anche il saggio che sto scrivendo come un quarto livello di traduzione, potremmo per inciso definire la critica come la “traduzione di una traduzione di una traduzione”, che cerca di cogliere il nocciolo della questione, più spesso senza riuscirci. Il fatto che in questo processo di traduzione dall’immagine e dalla parola al corpo si riesca a cogliere poco dell’originale da cui si era partiti va visto qui come un pregio, più che come un difetto. Il teatro è del resto un’arte della suggestione e della fascinazione misteriosa, in cui non è necessario comprendere tutto per accedere alla bellezza. Inoltre, sono davvero pochi – forse nessuno – i fatti della vita che si capiscono per davvero. L’arte bella di cui Opsìa è un esempio non fa che intensificare il mistero incomprensibile dell’esistenza."


S.O.N.

coreografia e danza Paola Bianchi
musica Fabio Barovero
elaborazione suoni Fabio Barovero, Paola Bianchi
grazie a Ivan Fantini
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia

ph. Elena Galleani

S.O.N. (state of neglect) chiama la vicinanza, predilige una visione ravvicinata, un contatto intimo con lo sguardo che deve poter cogliere il dettaglio e seguire la forma del corpo in relazione con il proprio confine, la pelle. Il lavoro coreografico si sviluppa all’interno del corpo, delle fasce muscolari, della postura scheletrica. Una coreografia di postura, di tensione, una coreografia puntuale, minuta, concentrata sul particolare, dove i confini del luogo dell’azione si perdono nello spazio della visione.
S.O.N. nasce dalla lettura del romanzo di Ivan Fantini "educarsi all’abbandono" (Edizioni Barricate) che esplora la parola abbandono sovvertendone il senso.

"S.O.N., lavoro di grande sensibilità, un sortilegio, dalle fasce muscolari al cuore. Brividi."
Andrea Pocosgnich

ph. Andrea Pocosgnich

ph. Saba Anglana

ph. Saba Anglana

ph. Ivan Fantini

 ph. Elena Galleani

  ph. Elena Galleani

 ph. Giulia Ferrando

 ph. Giulia Ferrando

 ph. Giulia Ferrando

 ph. Giulia Ferrando

ph. Ilaria Schenone



animanimale   

coreografia e danza paola bianchi
testi e lettura ivan fantini
musiche originali fabrizio modonese palumbo

tela andrea chiesi
grazie a fferrinirsm
residenza creativa SPAM!
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia

 ph. Katjuscia Fantini

Io ho a che fare con l'apolide che si muove nell'ombra, con l'esiliato che vive costretto ad aggirarsi fra luoghi e memorie sconosciute, luoghi che parlano un'altra lingua. Ho a che fare con l'estraneità a se stessi in quei luoghi, con la condizione di esistere senza essere.
Io, umano del genere umano, sono l'apolide, l'esiliato, il corpo che esiste senza essere… 
Ivan Fantini animanimale _ apologia di un genere umano

animanimale _ azione per corpo e voce si colloca in quel territorio ibrido della performance tra narrazione e danza contemporanea, tra testo e corpo, tra ascolto e visione, dove la tela di Andrea Chiesi e la musica di Fabrizio Modonese Palumbo diventano materia che lega indissolubilmente i due strati di senso dell’azione totale. 
Pensato per spazi non propriamente teatrali, animanimale esplora la fragile linea di divisione tra azione e visione, e sperimenta la nudità dell’azione stessa, la sua veridicità priva di maschere di protezione.
animanimale _ azione per corpo e voce origina dalle parole e dalle immagini di animanimale _ apologia di un genere umano, il libro di Ivan Fantini - scrittore e Andrea Chiesi – pittore, edito da Barricate. 
L’azione coreografica di Paola Bianchi prende corpo da quelle parole e da quelle immagini, le incarna e le stravolge restituendo un terzo piano di senso.

una relazione tra parola e corpo, testo e movimento, parola poetica e coreografia
  
 ph. Katjuscia Fantini

Nel farsi della lettura di animanimale _ apologia di un genere umano alcune frasi e singole parole si sono fissate nel mio corpo, sono entrate prepotentemente e si sono fatte immagini. Quelle immagini cercavano un deposito, quello che di solito è proprio a un lettore; io ho sentito l'urgenza di farle uscire di nuovo, restituendole con il linguaggio che mi compete, il linguaggio del corpo. Quelle immagini create dalla parola non potevano passare indenni da una trasformazione del corpo; ho sentito necessaria l'equazione parola/immagine - immagine/corpo e ho creato e modificato le tensioni del corpo attraverso quella equazione. Dalle deformazioni e trasformazioni di tensione del corpo è nata la forma in movimento, il movimento di quella forma. Le parole e le frasi sono diventate il motore dell’azione, hanno agito sulle forze interne e ne hanno modificano la forma. La forma del mio corpo è stata pronta ad accoglierle e il deposito è stato restituito.


Processo inverso rispetto alle parole e alle frasi del libro che sono entrate nel corpo per deformarlo attraverso una variazione di tensione che si è fatta forma, le figure di Andrea Chiesi - che nel libro fungono da contraltare narrativo alle parole di Ivan Fantini, figure che si stagliano nel buio della campitura - sono entrate nel corpo modificandone la forma per poi andare ad agire sulla tensione e sulla variazione della tensione del corpo che le ha accolte. Quelle figure/posture sono diventate fermo immagine di una azione in movimento di quel corpo.  

(Interessante il fatto che dopo aver visto animanimale e aver visionato le figure presenti nel libro mi si chieda se sia io la modella dei disegni.)


La tela Uomini ciechi (2.30 x 2.50 m.) di Andrea Chiesi, suo lavoro precedente ma poeticamente coerente con le immagini e il testo del libro, ha ulteriormente e inevitabilmente modificato le forme del mio corpo. La coreografia non poteva non tenere conto delle figure e delle loro forme portando il corpo a entrare e uscire dalla tela, a relazionarsi con quello spazio di corpi, di umani ciechi che, in direzioni diverse ma senza mai toccarsi, arrancano in un buio fisico e mentale.

 ph. Katjuscia Fantini

Lo stesso corpo di Ivan durante la lettura diventa parte della tela, assumendo la direzione parallela a una delle figure della tela, in una somiglianza fisica che ne svela l’esserne parte. La somiglianza fisica, la direzione e i piedi nudi di Ivan richiamano un essere stato uomo cieco. La mancanza di somiglianza tra il mio corpo e gli uomini ciechi viene invece annullata dal movimento di ricollegamento a essi.

 ph. Katjuscia Fantini

Il desiderio di una vicinanza dello sguardo dello spettatore ci costringe in una dimensione ridotta, uno spazio ristretto che non concede vie di fuga. Non c’è il velo protettivo della distanza, della possibilità di nascondimento. Tutto avviene lì, senza filtri. La pelle in prossimità dello sguardo si fa palcoscenico, si fa tavola su cui la coreografia si espone. Non possiamo nascondere nulla e la riduzione della distanza con lo sguardo attiva la sensibilità dello stare.
Ma può uno spazio così ridotto assumere il senso drammatico (da dramma in senso teatrale), il senso drammaturgico (di significato) fondamentale in uno spazio scenico classico? Questa è la domanda che ci siamo posti e che ha trovato una risposta affermativa nel momento in cui l’azione è stata racchiusa all’interno di uno spazio visivo delimitato dalla tela. La tela delimita l’azione e allo stesso tempo ne suggerisce spazi e micro-spazi diversi. La relazione con lo spazio del dipinto (distanza-vicinanza, basso-alto, destra-sinistra) e le sue forme interne diventa il palcoscenico su cui la coreografia si dipana. Ogni piccolo spostamento diventa qui, proprio per la relazione con quell’immagine fissa, movimento che si innesta, spazio che parla. 


La musica di Fabrizio Modonese Palumbo si insinua per tutta la durata della messa in scena tra le parole e nel mio corpo, potrei dire che si incorpora ampliando gli stati di variazione della tensione, il ritmo interno al movimento, lo spessore del corpo stesso. Una amalgama di suoni che ispessiscono l’aria dentro la quale il corpo articola la sua danza.

animanimale esibisce la necessità di rapporto diretto con lo sguardo di chi siede di fronte a noi. La lettura prima ma soprattutto la coreografia interna di muscoli, di tendini e di nervi, scaturisce in una sorta di danza anatomica in cui lo sguardo può seguire un flusso di tensione e contemporaneamente può soffermarsi su un particolare focalizzando l’attenzione su un piccolo dettaglio. È come se ogni spettatore generasse una personale danza dello sguardo, un movimento dell’occhio che va a scoprire piccole porzioni o si allarga sul totale, che percorre le linee del corpo e della tela o cerca la distanza dell’insieme. Una coreografia prossima allo sguardo, e per certi versi prossemica.
paola bianchi


VERBO PRESENTE

coreografia e danza Paola Bianchi
musiche composte ed eseguite dal vivo Fabrizio Modonese Palumbo
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
tutor Raimondo Guarino
residenze Residenza Multidisciplinare Arte Transitiva – Stalker teatro, Santarcangelo dei Teatri

grazie a Ivan Fantini, Andrea Chiesi, Paul Beauchamp
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia



ph. Paolo Pollo Rodighiero

Un inabissarsi del corpo nel vuoto del presente.

VERBO PRESENTE nasce intorno a una serie di riflessioni sulla percezione, sull’immaginazione, sulla loro connessione e interdipendenza, sulla plurivocità in contrapposizione all’univocità, sulla soggettività in contrapposizione all’oggettività dell’immagine data in visione collettiva.

Inizialmente la riflessione si è concentrata su quanto la descrizione verbale delle posture e dei movimenti di un corpo renda universale la visione di quel corpo.

Le posture dei corpi che ho scelto provengono da alcuni inchiostri di Andrea Chiesi, in particolare le figure umane. Ho scelto quegli inchiostri per la cecità dei volti, per la loro assenza di espressione – assenza, non negazione - un’assenza che diventa presenza grazie alla restituzione data dalla forma di quei corpi. Ho quindi descritto verbalmente e registrato in voce quelle posture trasposte nel mio corpo, lasciando dei buchi di connessione tra una forma e l’altra. In quei buchi, ho creato la coreografia partendo da immagini letterarie e scientifiche relative alla condizione di cecità.

Lo studio dello spazio è stato tracciato analizzando Il trionfo della morte di Pieter Brueghel. Ho riflettuto sul modo in cui nel dipinto lo spazio viene delimitato e sezionato. Quello spazio segnato dall’inesorabile procedere della morte, della sua conquista sulla vita, ha indicato le direzioni e le coordinate spaziali della coreografia.

Questo, il mio percorso di ricerca intorno alla percezione e all’immaginazione.
Ma cos'è in fondo l'immaginazione se non l'azione dell'immagine, il movimento agito in noi dall'immagine esperita?

Sarà lo sguardo di ogni spettatore a creare la visione compiuta in quanto tassello finale e necessario alla costruzione dell’azione coreografica nella sua totalità.
paola bianchi

PAOLA BIANCHI E IL PRESENTE  di Raimondo Guarino
Nella retorica antica il procedimento descrittivo dell’ekphrasis era una competizione tra linguaggi, ma anche una competizione tra tecnici della comunicazione. L’oratore invitava gli ascoltatori a ricreare nella mente, ascoltando il suo discorso, un’azione immaginata o un’opera d’arte, per affermare la potenza della parola. In qualche caso  sfidava immagini visibili e invitava il pubblico a chiudere e riaprire gli occhi per paragonare la potenza descrittiva del discorso verbale all’efficacia della composizione figurativa (come nel Discorso della sala, di Luciano di Samosata)
La scansione di ascolto e visione di Verbo presente mira ad alterare il rapporto tra processi mentali e percezione. Come nei testi estremi di Beckett, una voce proviene dall’oscurità. Ma siamo in una dimensione in cui l’azione attesa ci attende. Quando osserviamo un’azione, specialmente nell’innaturale e codificata postura dell’assistere a un fatto chiamato spettacolo, si apre una contesa tra due processi. Il movimento nello spazio e nel tempo di chi agisce, in un campo visivo che è uno spazio culturale. E il processo mentale che s’intreccia in chi guarda all’azione percepita, fatto di automatismi e adattamenti, proiezioni e tracce.
Che senso ha l’ascolto della descrizione dell’azione in questo scambio, sul terreno della presenza esposta?
Non ci lascerà più il desiderio di rivedere questa danza, di seguire di nuovo la strada scomparsa, di risalire al principio del capriccioso errore le cui peripezie lavorano debolmente per ritrovarsi nel fondo della memoria…Gli slanci, le svolte,  i pentimenti della linea che l’avrà ricamata non s’incontreranno che nell’invisibile, e non avranno un senso che imitando il senso della memoria (Jacques Rivière, Des ballets russes). Riconosciuta nel processo della linea verbale un’approssimazione, ma anche un ostacolo, a questo sentimento del tempo, un argine all’evanescenza del pensiero, bisogna restituire la personale dimensione dello stile, che governa il confronto dell’ascolto con l’osservazione.
Lo stile, nella danza, è la ricerca dell’evidenza che si incide nell’attenzione, tra due sponde che sono entrambe  transitorie: il decorso del movimento reale e il suo ribaltamento nei processi mentali dello spettatore.
L’atto di Paola Bianchi s’iscrive nella genealogia del rifiuto che anima la sovranità dell’azione fisica, le insorgenze e gli assalti del corpo ritrovato.  Per affermarsi e reclamare senso il gesto include, con logiche proprie, la negazione. Incorporare la negazione, da Mejerchol’d a Decroux, dagli sviluppi dell’Ausdruckstanz a Cunningham, è il mandato di ostinata anomia che ha occupato la zona fertile tra la danza e la biosfera del teatro.
La danza di Paola Bianchi lavora su passaggi, deviazioni, fratture interne al flusso delle energie. Il suo uso della parola che descrive l’azione è quindi lo strumento di una coreografia riservata e coerente, che risparmia all’economia del gesto raccordi e saldature, rigenerando i profili dell’impulso nel rivolgerli ai profili dell’attenzione, per incidere, con immutata acutezza, e nel segno della crisi perpetua, nella materia del pensiero.
Ciò che accade è una meditazione attiva che si apre a una contemplazione. Si deve sentire il suono interiore, segreto, il respiro. Il suono che lo dilata nell’ascolto orientato, verso qualcuno. L’azione che si decentra, che ignora la visione diretta. Oppure la contraddice, ma la invita a un pensiero sul guardare. E quindi in questa opacità e oscurità si trattiene, senza sorprendersi. Sta per conto suo, ma davanti al mondo.
Lo stare per conto proprio è il modo della parola nella sua vita cosciente, detta poesia. È il modo dell’oggetto-immagine nello stato detto arte, che lo espone. O il modo dell’azione nella scena. Che è l’essere esposto dello stare per conto proprio in una economia raccolta eppure, anatomicamente, sventrata. La parola che descrive lo stare e il fare, in questo solitario Verbo presente, e nelle solitudini di With, è un desiderio di aprirsi alla durata e all’estensione conservando, visibili e sospesi, i nuclei delle posizioni e delle direzioni,  i delitti e le pene, gli assalti e le rovine. I rudimenti e le coordinate dello stare e gli elementi del fare.
Confrontare il discorso all’azione suona come la disdetta dell’intitolare, la misura dello scarto tra la parola e la cosa, la critica del nominare. Sarà uno stato febbrile che insinua il disconoscere nel riconoscere.
“Quando si avvicina la fine, non restano immagini, ma soltanto parole” (Borges, L’immortale)
Se la cosa c’è, da qualche parte, dall’oscurità all’evidenza, il tempo e la fatica delle parole non sostituiscono. Annunciano e, con l’oscurità, trattengono. Il potere della descrizione è vanificato e irriso. Accecato. Nello stesso tempo l’illusione del presente si lacera. Invece di esserne il supplemento, la parola che guarda isola uno sguardo e deve ricadere, convocata ma separata, nel dominio e negli intervalli della percezione. Proteggendo il fare dalla riduzione. Alterando la visione. Aprendo il tempo dell’azione che è sempre altro. Indicando l’altrove della parola, il suo dubbio, la sua riserva svelata, che è la scrittura. Se qualcosa accade, la scena è il nodo, mai reciso, mai risolto, dell’ipotesi e della memoria.


VERBO PRESENTE di Paolo Pollo Rodighiero
Il lavoro su uno spettacolo di Paola Bianchi comincia molto prima delle prove.
Comincia con dei temi, dei suggerimenti, delle immagini sulle quali lei sta lavorando.
L'approfondimento della danza verbale, le immagini di Andrea Chiesi, i concetti di visione e percezione, pagine e pagine di citazioni ed estratti da autori a volte noti e cari, altre volte sconosciuti
Domanda di Paola: < Se ho un vestito rosso, si riesce a cambiare il colore del vestito usando delle luci colorate, farlo sembrare di un rosso diverso? >
Risposta: < Sì certo, il colore del vestito cambia, ma cambi anche tu, il colore della pelle >.
Quando cominciano le prove, porto con me un corredo di ipotesi, di visioni dello spettacolo.
Ma è già tutto cambiato, le idee iniziali sono superate, sostituite da altre, dal progredire del pensiero.
Tutte le domande, le riflessioni sulla percezione, forse troppo teoriche ed intellettuali, non trovano più posto sul palco, azzittite dalla crudezza e dalla verità della coreografia.
Ricominciamo da zero?  Non proprio da zero, perché tutto il lavoro precedente si è nel frattempo sedimentato, ha lasciato delle tracce, una base solida dalla quale partire.
È a partire da questa base che faccio le scelte finali.
È a partire da questo sedimento che deriva ogni mia scelta, ogni proiettore trova la sua posizione, la sua direzione, il suo senso in maniera coerente, anche se non sempre posso motivarlo razionalmente.
È in questo sedimento che rimangono delle necessità, una voglia di rosso che deve essere espressa.
< Cosa succede se a un certo punto ti illumino solo di rosso? >
Non so dire cosa succeda, io ho messo il rosso, la risposta fa parte del lavoro dello spettatore.
Non ho delle risposte, questo è uno spettacolo che pone solo domande.  LOL

 VERBO PRESENTE [ trailer ] from paola bianchi on Vimeo.


SCOREFORFIVE

coreografia e danza Paola Bianchi
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
produzione PinDoc
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia




Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo contengono. 
Bertolt Brecht

SCOREFORFIVE - partitura per cinque danzatrici - cinque figure che si incarnano in un solo corpo - cinque figure che trovano il senso ultimo del loro fare in una condizione non concessa: la simultaneità. 
La coreografia nasce dall’indagine intorno a cinque figure di donne della letteratura contemporanea che non sempre si collocano come portanti dei testi che le contengono (La vita accanto di Maria Pia Veladiano, La compagnia del corpo di Giorgio Falco, Volevo essere una farfalla di Michela Marzano, Sangue del suo sangue di Gaja Cenciarelli, Anatomia della ragazza zoo di Tenera Valse). Cinque donne diverse, cinque donne che vivono nel nostro tempo, cinque donne che potrebbero conoscersi ma non si incontreranno mai. Vittime di violenza familiare, vittime dei canoni di bellezza imposti, vittime di insoddisfazione e di noia, vittime del degrado urbano, vittime consapevoli e inconsapevoli, cinque donne che si interrogano e non sempre trovano risposte.
SCOREFORFIVE è costruito sulla sola ascissa dello spazio; il tempo – mancando la sincronicità delle cinque azioni - non può essere un fattore determinante. La coreografia si dipana quindi come una linea, in orizzontale, una planimetria. Non c’è un prima o un dopo; l’ordine delle azioni è legato esclusivamente alla connessione spaziale tra una figura e l’altra. Percezione senza esperienza, collettività individuale. Un paradosso di ossimori.


L'ASSENZA

coreografia e danza Paola Bianchi
testi e lettura Ivan Fantini

installazione sonora Nicola Amato
sculture Paolo Migliazza
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
produzione PinDoc
in collaborazione con Agar
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia



C’è un corpo che rincorre la sottrazione, l’essenza del vuoto, lo spazio vuoto, che cerca il senso di una presenza nell’assenza. È un corpo che si prosciuga sigillato nella sua immagine, un corpo che vacilla, un corpo che cerca un’identità. Un corpo che ricorda che del presente non ha notizie, pare che non gli somigli.
Quel corpo ripercorre al contrario un sentiero prestabilito nascosto nella miseria del quotidiano, quel corpo si riduce, si ridicolizza. Quel corpo è vuoto, debole, niente in quel corpo sfiora la parvenza di integrità; quel corpo è privo di attendibilità, anche il suo odore è provvisorio.                 Paola Bianchi

L'assenza dice dell'interiorità, di ciò che può l’altrove. Altrove che ci appartiene, ma che avvertiamo come eccezione - stato dell'io denudato, inadeguato, inerme, stigma punitivo. L'assenza origina dalla mancanza - da quel che accade al limite e oltre il limite, nella veglia, nel sorgere dell'immaginazione. L’assenza dice di me mentre parlo di altro, dice di altro mentre parlo di me.                 Ivan Fantini

Un ibrido tra musica concreta e sound art per indagare il concetto del silenzio e dell’ascolto: la ricerca di suoni nascosti in un “silenzio mormorante”, un pulviscolo sonoro relegato ai minimi livelli percettivi che giunge alla consapevolezza di chi ascolta solo quando quest’ultimo si avvicina o quando finisce l’impulso sonoro. I suoni proposti derivano dalla manipolazione di registrazioni ambientali, white noise e tracce di chitarra che vengono percepite non più come note ma come eventi sonori. Il silenzio viene così squarciato da un suono inteso come segno, come materia che attraversa uno spazio, lo satura per essere poi assorbito dallo stesso. Altre frequenze creeranno un gioco percettivo dato dai binaural beats: un fenomeno secondo il quale il cervello di un individuo, ascoltando due frequenze a un dato intervallo, genera e percepisce una terza frequenza che in realtà non viene emessa, è assente.                                Nicola Amato

Un'attesa, una domanda costante, la presenza fisica dell'interrogativo che fra aperture e sospensioni diviene sinonimo di un'assenza di risposte certe, circoscritte a delle verità morenti. Un equilibrio precario, apparente che negli squarci dei corpi ci impone il peso del bilico e l'interrogarsi della coscienza; un travaso perpetuo che si fa corpo pulsante delle nostre sensazioni più intime, il tentativo necessario di dare una struttura a quei pieni e quei vuoti che rincorrendosi fra gli squarci dei corpi svelano le relazioni che legano il visibile della carne all'invisibile della coscienza.                  Paolo Migliazza



PROVE DI ABBANDONO

di paola bianchi e ivan fantini
coreografia e danza paola bianchi
lettura ivan fantini
produzione FC@PIN.D’OC
coproduzione Il Triangolo Scaleno / Teatri di Vetro
in collaborazione con AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia


Da dove viene un sasso? Quanto è profondo un sasso? Quale bellezza trattiene al suo interno un sasso? Il suo rimanere solo in balia di qualsiasi corrente non è frutto di abbandono o rinuncia ma di una condizione orfana del tutto particolare; sono orfani tutti, i sassi, adottati senza il loro consenso.         
                                                                                          Ivan Fantini educarsi all’abbandono


PROVE DI ABBANDONO è azione coreografica di e con Paola Bianchi e stralci di lettura dal romanzo educarsi all'abbandono _ frammenti mutili a opera dell'autore Ivan Fantini.
PROVE DI ABBANDONO abita luoghi, non attraversa spazi, che siano essi case private, luoghi condivisi da una comunità o abbandonati.

L'ABBANDONO
La parola abbandono contiene in sé molti significati: lasciare definitivamente, smettere, desistere / lasciare senza aiuto o protezione / smettere di fare, rinunciare, mettere da parte / allentare, lasciare andare, rilassare / venire meno, venire a mancare / non opporre resistenza. 
“La parola abbandono si porta appresso un atto di imposizione politica: sembrerebbe derivare dall’espressione medievale être à bandon, essere sottomessi a un atto di potere che ti ordina di lasciare.” (Erodoto 108 n.13) 
Abbandono porta con sé il vacuo, il vuoto, il mancante e l’orfano.
Allo stesso tempo la parola contiene il termine dono, quindi un lasciare donando, una messa a disposizione di chiunque, accezione imprevedibilmente positiva del termine.
Donare la memoria, la memoria del corpo, di ciò che ha vissuto quel corpo, la sua mappa emozionale, la sua storia che, se lasciata fluire fuor di pelle, deforma e contrae la struttura offrendoci la visione della nuda vita.

DA VICINO
Credo esistano due aspetti della coreografia nel mio lavoro che potrei definire come danza esterna e danza interna. La prima riguarda il movimento nello spazio, le linee disegnate dal corpo in movimento, la forma del corpo in contatto e in relazione con lo spazio; la seconda è esclusivamente interna al corpo stesso, è fatta di muscoli, di tensioni interne, di vibrazioni muscolari e nervose, di vene, la forma del corpo in contatto e relazione con il proprio confine, la pelle che, oltre a svelare la forma, è medium percettivo. La prima necessita distanza nella visione, per dare la possibilità all’occhio di comprenderne la totalità (dove comprendere è inteso nel senso di accogliere, lasciare agire, prendere con lo sguardo) e poterla mettere in relazione con lo spazio in cui agisce; la seconda necessita di vicinanza, l’occhio deve seguire il percorso della pelle, deve poter cogliere il dettaglio, entrare dentro la vibrazione per comprenderne il disegno. 
Paola Bianchi Corpo politico _ distopia del gesto, utopia del movimento 

PROVE DI ABBANDONO chiama la vicinanza, chiede di concentrare l’attenzione sulla danza interna e prediligere quindi una visione ravvicinata, un contatto più intimo con lo sguardo dello spettatore. Il lavoro coreografico si sviluppa all’interno del corpo, delle fasce muscolari, della postura scheletrica. Un corpo in uno spazio chiuso, ridotto, una coreografia di postura, di tensione, una coreografia puntuale, minuta, concentrata sul particolare, dove i confini del luogo dell’azione si perdono nello spazio della visione. 
Questi sono i motivi per cui PROVE DI ABBANDONO predilige luoghi non propriamente teatrali e molto piccoli, principalmente case private.

IL LUOGO
Lo spazio si pensa, i luoghi si abitano. Lo spazio si attraversa, nei luoghi si sosta. Lo spazio è l'astratto, il luogo il concreto. Tuttavia, il luogo non è solo uno spazio determinato, particolare, definito da coordinate precise. Il luogo è qualcosa che ha a che fare con la memoria, con le emozioni e con il desiderio. I luoghi stanno alla storia vissuta, come lo spazio sta al tempo cronometrato.                                                         Andrea Tagliapietra

Secondo Marc Augè, il luogo è identitario, relazionale e storico, si fonda sull’interazione reciproca tra urbs e civitas. Il luogo è spazio + identità.
Abitare è aver cura; lo spazio di cui si ha cura diviene "casa".

        IL ROMANZO
Educarsi all'abbandono _ frammenti mutili è il secondo romanzo di Ivan Fantini - cuoco eterodosso e dimissionario, scrittore per urgenza - che esce dopo quasi due anni da Anonimo fra gli anonimi sempre per le Edizioni Barricate collana La cultura dietro le righe.


ZERO

ideazione, testi, coreografia  Paola Bianchi
consulenza artistica  Silvia Parlagreco
in scena  Paola Bianchi e Giuseppe Tordi
elaborazione suono  Paola Bianchi, Fabio Barovero
disegno luci  Paolo Pollo Rodighiero
grazie a  Ivan Fantini, Valerio Valoriani, Roberta Failla, Movimento Centrale, 
Settore Cultura Comune di Rimini
produzione FC@PIN.D’OC
in collaborazione con Cricoteka – Centro di documentazione dell’arte di T.Kantor - Cracovia | Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano | Teatro Verdi - Milano | Versiliadanza/Teatro Cantiere Florida di Firenze nell’ambito del Progetto a Sostegno delle Residenze Artistiche in Toscana | Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza | AGAR
con il contributo di Mibact e Regione Sicilia

                                                                                                                                                   ph. Paolo Pollo Rodighiero

Una visione sui corpi del teatro di Tadeusz Kantor.

Movimenti rotti in corpi  d i s o r i e n t a t i, persi nello spazio scenico alla ricerca di un luogo a loro consono mai raggiunto. Una  i n q u i e t u d i n e  costante e persistente. È come se i corpi del teatro di Kantor non trovassero mai il posto giusto, non si sentissero mai a casa. 
ZERO è costruito su una partitura sonora frutto del montaggio delle pause, dei respiri tra una parola e l’altra di Kantor – parole pesate, studiate, mai a caso – momenti di un niente carico di senso tratti dalle registrazioni provenienti dall’archivio sonoro della Cricoteka di Cracovia. 
Quei silenzi ricchi di peso diventano traccia drammaturgica, un non detto che non saprei come dire se non con  il corpo.  Un  percorso  tra  quei  silenzi  e  quei  corpi,   in  una  terra  di  mezzo  che  sconfina  nel  c o r p o  in  a z i o n e. Un corpo fuori contesto, lontano da una storia, che rifugge un senso logico per rimettersi alla legge che nasce dal nostro stare uno di fronte all’altro - corpo dell’azione e corpo della visione che vivono uno stesso indiscutibile destino: la fine. 
Un omaggio ai corpi che hanno attraversato il teatro di Tadeusz Kantor.




NOTE A MARGINE

Da molti anni la figura di Tadeusz Kantor si insinua a tratti nel mio percorso. Il lungo lavoro di studio e di ricerca è sfociato nel mese di aprile 2015 con la realizzazione dei cinque radiodocumentari Tadeusz Kantor: il circo della vita tra memorie e fantocci, prodotti dall’associazione culturale Agar in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, la Cricoteka di Cracovia e Polskie Radio e andati in onda su Rai Radio 3 in occasione del centenario della nascita di Kantor. I radiodocumentari, realizzati insieme a Silvia Parlagreco – studiosa italiana di Kantor - fanno rivivere le messe in scene dei principali spettacoli dell’autore attraverso un racconto fatto di suoni e parole; nell’ascoltatore balzano evidenti le immagini, e le scene degli spettacoli riacquistano tutta la loro forza.
La creazione di ZERO è stata la naturale conseguenza di questa ricerca approfondita. In particolare mi sono concentrata sull’uso dello spazio e sui corpi del suo teatro, li ho analizzati, sezionati, li ho estrapolati dal contesto degli spettacoli, li ho vissuti e trasformati nel mio corpo. 
ZERO non è uno spettacolo su Tadeusz Kantor o sul suo lavoro e, pur essendo denso di riferimenti alla sua opera, non è neanche un omaggio a Tadeusz Kantor. ZERO è un dialogo con i corpi del suo teatro, corpi estrapolati dalla scena, corpi che hanno attratto il mio sguardo; corpi veri e corpi disegnati che nella mia personale visione vivono avulsi dal contesto. Dare nuova vita a quei corpi può essere un modo per guardare all’opera di Kantor da un altro punto di vista, forse modificando/attualizzando il nostro sguardo sulla sua opera. 

LE FIGURE UMANE
Scavando in profondità sono giunta ai disegni delle figure umane di Tadeusz Kantor, metabolizzando la tensione muscolare che li attraversa; figure umane perse nel foglio bianco, in quel non-luogo che ricorda la scena. La mia indagine si è poi spostata sul contesto culturale/pittorico che Kantor ha vissuto, lavorando sui quadri di Matejko, Bruno Schulz, Malczewski, Wojtkiewicz. Una pittura lontana dalla ricerca pittorica di Kantor e per questo ancora più importante. A partire da quei quadri, da quei colori, dalle tensioni interne ai corpi ho elaborato una mia strada che mi ha condotta a lavorare sul vuoto interno, sulla morte e sulla vita. ZERO è quindi un percorso a ritroso sull’opera di Kantor, un percorso che si chiude sul mio corpo e su quello di Giuseppe Tordi che con me condivide la scena. Giuseppe non è un danzatore e potrei dire che il suo stare, il suo essere lì, è il necessario contrappeso al mio continuo entrare e uscire dal dramma.
I corpi che attraversano il mio corpo, deformandolo e sconquassandolo, sono liberi dalla logica drammaturgica temporale in cui erano immersi. Sono corpi autonomi che in quanto tali ho lasciato fluire senza cercare una connessione tra loro. Ho partorito quei corpi con il mio corpo senza chiedermi chi fosse il padre e li ho lasciati liberi di percorrere quel piccolo spazio che è la scena imponendomi di non dare loro una sequenza logico-drammatica. Li ho vissuti in libertà e così li vivo a ogni replica, ognuno con la propria piccola storia indipendente dalla mia volontà. La partitura è estremamente definita, forse più che negli altri miei lavori, ma il processo creativo è fluito leggero, passando attraverso quell’esercizio quotidiano di sguardo che è proprio del mio lavoro di coreografa.

IL SUONO
Kantor scriveva molto e spesso registrava in voce i propri scritti. La raccolta delle sue registrazioni si trova presso l’archivio sonoro della Cricoteka di Cracovia dove per un periodo mi è stata concessa una postazione di lavoro. Lì ho estrapolato da quelle registrazioni tutto il “non detto” da Kantor, i suoi respiri tra una parola e l’altra, i suoni dell’ambiente, i rumori dell’accensione e dello spegnimento del registratore stesso. Quel niente interposto tra una parola e l’altra è diventato traccia sonora, partitura drammaturgica, un niente carico di senso proprio perché preceduto o seguito dalle parole di Kantor - parole sempre calibrate, pesate e pensate. 

DALL'AZIONE ALLA ZATTERA 
          uno scarno abbecedario 
Guardando e riguardando i video degli spettacoli di Tadeusz Kantor per realizzare i 5 radiodocumentari sulla sua opera teatrale, ho iniziato ad attribuire aggettivi ai corpi che abitano quel teatro. Ne è nato così uno scarno abbecedario: 
Arcaico | Balbuziente | Circolare | Disorientato | Endocrino | Foriero | Grottesco | Inquieto | Liminare | Muscolare | Nientificato | Oltraggioso | Poetico | Qualunque | Risonante | Sparigliato | Tautologico | Urlante | Virtuoso | Zittito 
Poi però gli aggettivi sono esplosi, i primi come calamite ne hanno attirati altri. 
Azione e zattera non sono evidentemente aggettivi e non sono in realtà compresi in questo scarno abbecedario. L’azione e la zattera sono due parole care a Kantor ed è da queste due parole che è nato il mio ragionamento intorno ai corpi del suo teatro. 

Quelli che abitano il teatro di Kantor sono corpi arcaici, primitivi, corpi veri nella finzione della scena. Potrei dire corpi primordiali, radicati da sempre nella natura umana. È come se il loro modo di stare di fronte a noi fosse avulso dalla storia, pur essendovi completamente immersi. Sono corpi universali. Il loro stare lì può essere decontestualizzato dalla scena e quei corpi diventano i nostri, i corpi dello spettatore, di chi assiste a quei movimenti muscolari, movimenti balbuzienti, rotti dal peso della storia. È evidente una alterazione del flusso dei movimenti, in forma di blocchi, di ripetizioni delle azioni, di spasmi. Il movimento risulta periodicamente esitante, interrotto, tronco, abbondante di ripetizioni, di inceppamenti. Movimenti circolari che tornano al punto di partenza a volte trasformati a volte identici a quell’inizio. Circolari come lo spazio che viene segnato da girotondi tanto cari al teatro del novecento. Sono cerchi che a volte non si chiudono, cerchi che espongono a loro volta la circolarità delle azioni di coloro che agiscono, dei loro movimenti ripetuti in coro – un corpo fatto di tante voci diverse che per farsi udire singolarmente necessita della moltitudine, della folla, dei tanti. Sono singoli insieme a molti
In questa moltitudine di corpi il disorientamento balza all’occhio. Disorientamento dei corpi, delle posture. Corpi disorientati nello spazio ristretto dell’azione. Un disorientamento patologico, la mancanza di orientamento nel tempo e nello spazio e verso la propria persona. Non sembrano aver perso l’orientamento, sono proprio così, disorientati da sempre, si potrebbe quasi dire ‘fuori luogo’. Sebbene disorientati questi corpi seguono traiettorie precise nello spazio, ma lo fanno con quel senso di smarrimento, di perdita di connessione con la realtà che dona loro la fatica a noi necessaria per comprendere la loro stessa perdita di orientamento. A volte sembrano affetti da presbiofrenia con confabulazioni ed eccitamento motorio. Un eccitamento che si autoalimenta che si sviluppa internamente, che non risulta appiccicato, buttato su chi agisce, ma che potrei definire endocrino, pensando all’origine della parola stessa: endo – dentro, crino – verso, quindi verso l’interno ma che dall’interno traspare, esponendo cioè questo interno.
Sono corpi che annunciano, forieri di avvenimenti, di mutazioni della scena, che preannunciano avvenimenti, e loro stessi si trasformano fino a diventare grotteschi, goffi, innaturali, corpi che scatenano risa e pianto, risa amare, risa in contrasto con la drammaticità della situazione. Corpi in una situazione di squilibrio rispetto al contesto in cui agiscono, corpi turbati dall’intorno, dal luogo in cui stanno, corpi inquieti che si perdono nello spazio del dentro e del fuori, nella scena visibile e in quella invisibile, in quel dietro, in quel oltre, nel passaggio tra il dentro e il fuori, liminari, sulla soglia, sul confine. 
Sono corpi muscolari, sempre in azione, il loro stato evidenziato dai muscoli in tensione o in stasi si manifesta con forza. Eppure sono corpi nientificati, annullati - per usare un termine kantoriano tanto caro al periodo del teatro ZERO. Se Kantor parlava di annullamento del testo io mi sento di dire che in alcune situazioni è il corpo a essere annullato, nientificato, costretto in azioni illogiche, azzerato dalla propria stessa azione per dare risalto all’azione teatrale pura. Sono corpi che mostrano la loro piccolezza, la loro nullità.
Sono corpi oltraggiosi, eccessivi che offendono se stessi, sono corpi che sfidano il potere, che incorporano il potere e per un breve lasso di tempo lo soverchiano, ce l’hanno in pugnoEppure sono corpi poetici, corpi che creano in noi emozioni, corpi che ci portano in altri luoghi, lontani da lì, da dove stiamo guardando, lontani da quello che stiamo guardando. Bisogna essere in grado di concentrarsi sul corpo, scontornarlo dall’intorno, dalla scena. So che può essere considerata un’operazione assurda, forse blasfema trattandosi di un regista teatrale, di un artista totale che quindi curava con estrema attenzione il particolare e il totale al tempo stesso, che può sembrare quasi fargli torto, ma al contrario per me è renderlo ancora più grande di quello che è stato dal punto di vista artistico. In questa cura dei corpi singoli io ci vedo una delle grandi innovazioni del teatro del novecento. 
Sono corpi qualunque, corpi di tutti, potremmo essere noi seduti lì tra i banchi della classe scolastica. Corpi normali e potenti al tempo stesso. Non sono corpi di danzatori, lavorati e cesellati, sono corpi dell’intorno, del nostro vicino di poltrona, di nostro padre, dei nostri fratelli e sorelle – siamo noi quei corpi che risuonano, che rimbombano nella scena; corpi risonanti, sonori, che riecheggiano nella nostra memoria, come l’immagine che segue


Una immagine che non riesco a dimenticare, che è stata il punto di partenza di ZERO. Difficile dire cosa mi ha colpito di quel movimento, di quel corpo così magro e instabile ma ben ancorato al pavimento, forse il suo essere sparigliato, il suo essere solo in mezzo a molti. Il movimento leggero delle gambe, il movimento delle braccia: vedo il movimento fuori da quello spazio angusto, vedo i muscoli, vedo lo scheletro, vedo il corpo tutto che mi parla di leggera fatica della solitudine.
Nell’elenco di aggettivi compare anche tautologico e qualcuno potrebbe contrariarsi per il suo significato comunemente inteso, ovvero di ragionamento, frase, espressione che sostanzialmente non aggiunge nulla a ciò che è già stato detto ma che ripete lo stesso concetto con altri termini. Io invece intendo il termine derivante dalla logica matematica dove la tautologia, detta anche verità logica, è un espressione che risulta sempre vera, qualunque siano i valori di verità assegnati alle variabili. Quindi, nella mia visione, tautologico è quel corpo che risulta vero anche estrapolato dal suo spazio, inserito in altro contesto, che resta sempre vero anche quando le variabili cambiano. Vero e urlante, ma mai il suo urlo è una richiesta d’aiuto. Urla perché la sua voce è così, forte, è voce potente. È corpo virtuoso, ovvero in grado di produrre effetti particolari, e non tanto nel senso di estremamente abile ed esperto. Nell’aggettivo da me usato il virtuosismo non è di casa. Quei corpi zittiti dalla morte di Tadeusz Kantor, sono ora vivi nella mia memoria e tanto basta.


UNTITLED | progetto di creazione utopica

                                                                   SENZA TITOLO | SENZA DIRITTI


Il corpo non è né “significante” né “significato”. E’ esponente/esposto: estensione di quell’effrazione che è l’esistenza.                                      Jean-Luc Nancy








foto Roberta Perrone


Un’indagine coreografica intorno alla letteratura. Cinque personaggi femminili appartenenti all’universo letterario contemporaneo sono il pretesto per esplorare da un lato l’impossibilità della simultaneità dello sguardo, dall’altro il rapporto tra parola scritta e azione, senso e movimento, narrazione e composizione coreografica, linearità del pensiero e racconto sfuggente.
I cinque romanzi italiani Anatomia della ragazza zoo di Tenera Valse, La compagnia del corpo di Giorgio Falco, La vita accanto di Mariapia Veladiano, Volevo essere una farfalla di Michela Marzano e Sangue del suo sangue di Gaja Cenciarelli, sono quindi il punto di partenza per una ricerca che si fa di volta in volta corpo in azione.
UNTITLED è l’insieme di tappe, ognuna delle quali ha titolo e modalità di intervento diversi - performance, spettacoli, laboratori, installazioni video -, una sorta di cantiere aperto, un processo in continuo sviluppo.

WITHOUT _ quintetto in solo
Un solo di e con Paola Bianchi che ha debuttato a Roma in aprile nell’ambito del festival Teatri di Vetro. E’ la prima tappa compiuta di UNTITLED da cui si è sviluppato tutto il progetto. WITHOUT nasce dallo studio intorno ai cinque personaggi femminili di cui sopra. Lo spettacolo è concepito come un quintetto ma sulla scena c’è una sola interprete.

WITHOUT BODY o della scrittura
WITHOUT BODY è una serie di sessioni di scrittura a partire dal corpo in azione. La scrittura nasce dalla visione di WITHOUT durante una prova aperta con spettatori che abbiano voglia di ragionare sulla visione e regalarmi i loro pensieri. L’intento è quello di affidare i movimenti alla parola, ai pensieri, alle domande di chi guarda. Una ricerca sulle reazioni cinestetiche verbalizzate, in cui lo sguardo esterno diventa protagonista della visione stessa mutandone la percezione interna.
I materiali prodotti dagli spettatori saranno poi elaborati per dar vita a un documento scritto, a un file audio o a un’esposizione.

WITHIN _ nel corpo 
WITHIN _ nel corpo, ovvero l’elaborazione coreografica successiva alla scrittura. I materiali raccolti per WITHOUT BODY saranno la partitura che condurrà nuovamente alla scena attraverso un lavoro di astrazione che annullerà il concetto di partenza, nato dalla lettura dei cinque romanzi, per assumere nuovo senso. Una chiusura del cerchio tra parola e corpo.

WITHIN WITHOUT
WITHIN, la nuova partitura diventerà parte di WITHOUT andando a costituire un nuovo lavoro, WITHIN WITHOUT.  

WITHOUT TEACHING
laboratorio per danzatrici professioniste
WITHOUT TEACHING è un laboratorio rivolto a danzatrici professioniste che porterà alla realizzazione dell’utopia, ovvero WITH TITLE. Un lavoro di composizione coreografica che partirà dallo studio delle cinque figure intorno alle quali ruota il progetto UNTITLED, una ricerca approfondita sul rapporto tra parola scritta e azione, senso e movimento, narrazione e composizione coreografica. Il laboratorio sarà condotto da Paola Bianchi.

WITH TITLE
la realizzazione dell’utopia
WITH TITLE ovvero la realizzazione dell’utopia: cinque danzatrici professioniste che danno vita alle cinque figure. 

WITH
plurale 
concept Paola Bianchi
coreografia e danza Marina Giovannini, Rhuena Bracci, Sara Simeoni, Valentina Buldrini, Paola Bianchi
WITH debutterà il 7 marzo 2014 al Teatro Diego Fabbri di Forlì nell'ambito di ISTANZE, un progetto a cura del collettivo c_a_p

WITH PRACTICE
laboratorio
WITH PRACTICE si concentra sullo sviluppo di una maggiore consapevolezza del proprio corpo in potenza, leggerezza e creatività. Il riscaldamento incentrato sui principi di peso, gravità, caduta e recupero condurrà gradualmente il corpo in un flusso continuo, organico e dinamico. Si esploreranno quindi le reali possibilità di ciascun corpo attraverso sequenze di movimento trasmesse via audio - una ricerca di connessione tra la parola e il corpo, tra la trasmissione vocale e il movimento. Ogni partecipante creerà, attraverso una composizione guidata, piccoli schemi personali di movimento basati su ripetizione e combinazione. Il laboratorio verrà condotto da due o più coreografe di WITH.

WITHOUT PLACE
video 
WITHOUT PLACE è il cortocircuito tra un computer e uno smartphone. E’ l’ombra in negativo. E’ il nero dell’intorno mentre il corpo affonda e galleggia, emerge e sprofonda nello schermo. E’ luce e corpo, riflesso su nero. 
WITHOUT PLACE non è il risultato dell’elaborazione delle immagini in postproduzione.


OUTWITH

di e con Paola Bianchi
grazie a Ivan Fantini, Paolo Pollo Rodighiero
produzione FC@PIN.D’OC
in collaborazione con AGAR
con il contributo del Mibact e della Regione Sicilia

Mi muovo su una mappa di senso che esclude la logica lineare, le connessioni spaziali si infrangono nell’impossibilità di respiro dell’azione. Claustrofobicamente parlando si tratta di un solo anaerobico. Anatomicamente parlando si tratta di un urlo senza denti.
Azioni che si rincorrono, che si rifrangono in un continuo di sguardi e frasi taciute - un fuori contesto in visione parziale.


WITHOUT _ quintetto in solo

di e con Paola Bianchi
luci Paolo Pollo Rodighiero
tecnica Chiara Girolomini
elaborazione suono Paola Bianchi
foto Valentina Bianchi
grazie a Francesca Divano, Stefano Murgia, Simona Sacchini, Valentina Bianchi, Movimento Centrale, Santarcangelo •12 •13 •14 Festival Internazionale del Teatro in Piazza
grazie sempre a Ivan Fantini
produzione FC@PIN.D'OC
in collaborazione con AGAR
con il contributo del Mibact e della Regione Sicilia


Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo contengono.                                                                                                                                           Bertolt Brecht















Con WITHOUT – una partitura per cinque danzatrici - la mia ricerca si focalizza intorno a un ossimoro fisico e di senso: collettività individuale. La condizione di isolamento forzato del soggetto in azione crea uno sbilanciamento percettivo del suo essere parte di una collettività in azione. Cinque figure che trovano il senso ultimo del loro fare in una condizione non concessa: la simultaneità. 
Condizione fisicamente irraggiungibile ma potenzialmente realizzata nello sguardo dello spettatore, WITHOUT si situa nel campo dell’utopia in contrapposizione alla distopia in atto. La solitudine estrema del soggetto si colloca in una situazione di comunione fittizia in cui ogni figura percepisce l’intorno senza esperire la compagnia.



 
WITHOUT [trailer _ 2015] from paola bianchi on Vimeo.

          NOTE A MARGINE *
WITHOUT è nato dall’urgenza di creare un lavoro per cinque danzatrici, una coreografia che mi permettesse di sviluppare una relazione spaziale complessa. L’impossibilità di affrontare economicamente una produzione con molte persone sulla scena, mi ha portato a un’ennesima sfida: creare la coreografia per cinque interpreti ma ridurre l’organico alla mia sola presenza. Il lavoro si pone da un lato come una denuncia delle difficoltà legate alla situazione di indigenza in cui versa il mondo del teatro e della cultura in generale, dall’altro, e più propriamente, riguarda un isolamento all’interno della collettività o meglio di una collettività mancante.
La coreografia nasce dall’indagine intorno ad alcune figure della letteratura contemporanea che non sempre si collocano come portanti dei testi che le contengono. Lo studio parte quindi dalle caratteristiche, a volte appena accennate a volte ben delineate, di cinque figure di donne per svilupparsi in un rapporto remoto tra esse. Il lavoro spaziale diventa in WITHOUT di fondamentale importanza così come la differenziazione delle figure. Si pongono quindi due fasi di elaborazione, una riguardante lo studio della motricità propria di ogni figura, l’altra la strutturazione spaziale e temporale delle azioni coreografiche singole. Si tratta innanzitutto della creazione del movimento che caratterizza la figura che non è e non diventa personaggio ma resta persona tra persone. Dall’altro la contemporaneità negata non deve consentire l’annullamento delle altre presenze e non può dimenticare la collocazione di ogni interprete in un qui e ora che poco ha di reale. La drammaturgia si sviluppa su piani diversi, dovendosi concentrare sia sulla singola figura per delinearne le caratteristiche precise che sulla relazione complessa tra le cinque figure. Nel contempo non può trascurare la linearità visiva del lavoro che, escludendo la simultaneità di azione delle figure, deve comunque evitare la ripetitività delle cinque partiture. Ogni figura passa dal ruolo di soggetto a quello di oggetto della memoria della figura che la segue e la precede e, ovviamente, dello spettatore. Si richiede quindi un grande sforzo anche allo spettatore che, se vorrà avere un’idea della totalità del lavoro, dovrà ricostruire nella propria personale visione l’interezza dello spettacolo. Si stabilisce quindi un patto tra scena e spettatore, ponendo estrema fiducia nei confronti di quest’ultimo. Percezione senza esperienza, collettività individuale. Un paradosso di ossimori. Una sfida interpretativa che mi costringe a focalizzare il nucleo dell’azione presente in un’azione asincrona. 
    * estratto da “Corpo politico” di paola bianchi, Editoria & Spettacolo, uscita prevista autunno 2013

La drammaturgia di WITHOUT è costruita sulla sola ascissa dello spazio; il tempo – mancando la sincronicità delle cinque azioni - non può essere un fattore determinante. La coreografia si dipana quindi come una linea, in orizzontale, una planimetria. Non c’è un prima o un dopo; l’ordine delle azioni è legato esclusivamente alla connessione spaziale tra una figura e l’altra. Allo stesso modo le luci e i suoni hanno un percorso proprio, indipendente dalla scena. Nessun suono e nessun cambio luci – a parte il buio finale – sono in alcun modo legati alla drammaturgia. Azione, suono e luce percorrono tre linee parallele e tra loro indipendenti.

WITHOUT è la prima fase compiuta del progetto di creazione utopica UNTITLED – senza titolo e senza diritti. 














WITH _ cinque coreografe per un progetto plurale

concept, cura dello spazio, elaborazione suono Paola Bianchi

coreografia e danza Marina Giovannini, Rhuena Bracci, Sara Simeoni, Valentina Buldrini, 

Paola Bianchi

disegno luci Paolo Pollo Rodighiero

cura tecnica Chiara Girolomini

produzione agar, collettivo c_a_p 

si ringrazia spazio Genè5


Ci sono delle cose – anche le più astratte o spirituali – che si vivono “solo attraverso il corpo”. Vissute attraverso un altro corpo non sono più le stesse.                                              Pier Paolo Pasolini


WITH è la seconda tappa del progetto di creazione utopica UNTITLED _ senza titolo | senza diritti che comprende una serie di azioni con titolo e modalità di intervento diversi - performance, spettacoli, laboratori, installazioni video;  una sorta di cantiere aperto, un processo in continuo sviluppo.
Cinque personaggi femminili appartenenti all’universo letterario contemporaneo sono il pretesto per esplorare da un lato l’impossibilità della simultaneità dello sguardo, dall’altro il rapporto tra parola scritta e azione, senso e movimento, narrazione e composizione coreografica. I cinque romanzi italiani Anatomia della ragazza zoo di Tenera Valse, La compagnia del corpo di Giorgio Falco, La vita accanto di Mariapia Veladiano, Volevo essere una farfalla di Michela Marzano e Sangue del suo sangue di Gaja Cenciarelli, sono quindi il punto di partenza per un’indagine coreografica che si fa di volta in volta corpo in azione.
WITH vede la complicità di Marina Giovannini, Rhuena Bracci, Sara Simeoni, Valentina Buldrini e la stessa Paola Bianchi, il cui apporto al progetto consiste nella scelta del tema e nella consegna di alcune indicazioni teorico-pratiche. Ogni coreografa originerà una danza che apparterrà a un tempo, a un suono, a un luogo, poiché le cinque azioni abiteranno cinque spazi diversi all’interno dello stesso edificio. 
WITH è un lavoro plurale, una prova di abbandono della visione unica. Ogni danza vive del suo momento.

Marina Giovannini > cab008.com
Rhuena Bracci > grupponanou.it 
Sara Simeoni > sarasimeoni.weebly.com
Valentina Buldrini > valentina-buldrini.blogspot.it  



COSTRUISCO SULL'OBLIO

mise en espace, coreografia e danza Paola Bianchi

testo Claudia Faci 

elaborazione suono e video Paola Bianchi 

foto Valentina Bianchi 

grazie a Ivan Fantini

nell’ambito di Fabulamundi – Playwriting Europe _ un progetto di PAV



Un fiume di parole, un flusso di coscienza, un dialogo interiore esternato in due voci: una dal vivo, l’altra registrata - la stessa persona che parla. Così si presenta il testo di Claudia Faci. 
C’è tutta la solitudine dell’isolamento, volontario o forzato che sia. C’è la solitudine della scena, c’è il dubbio. C’è uno stare sull’orlo del precipizio senza mai cadere e senza sapere se si è attratti o respinti da quel baratro. C’è una lunga riflessione sul suicidio, sulla scelta serena e tranquilla di chiamarsi fuori, fuori dal mondo, fuori dal sistema, fuori dai giochi. Eppure non si esce. C’è la fine del teatro che incombe; eppure non crolla. C’è la morte della performer, eppure la sua forza e la sua potenza vivono. C’è la riflessione codarda di una performer âgée, la sua stanchezza verso i giochi di potere, il suo distacco, il suo sguardo disincantato.
Tutto questo ho visto, ho letto nel testo di Claudia. L’ho letto a mio modo e, a mio modo, sulla mia pelle, sulla mia carne, sui miei muscoli l’ho riscritto. La mia lettura si è trasformata in immagini, in visioni, in spazio della scena. Con i miei movimenti ho generato una nuova scrittura, allontanandomi da quel testo per ritrovarmi poi infinitamente vicina. 



ERBARME DICH

di e con Paola Bianchi
testi Emanuele Tonon – estratti da Il nemico
voce Paola Bianchi
elaborazione suono Fabio Barovero, Paola Bianchi
luci Paola Bianchi, Chiara Girolomini

foto Valentina Bianchi
produzione Agar
grazie a Francesco Renzi, Federico Dalpiaz, Francesca Divano, Natalia Zarzecka
grazie alle parole dette da Ivan Fantini e alle parole scritte da Emanuele Tonon


Li leggo, li vedo, li sento intorno, quei corpi votati alla fatica, sprecati e prosciugati. Li tocco con lo sguardo nella difficoltà del giorno, nella bestemmia, nella nullità dello stare, nel lento incedere. Annuso il puzzo di marcio, il vomito che prelude la fine. Accolgo il linguaggio scarno, primitivo, essenziale di quei corpi. E nello spazio dato investo il mio corpo di un continuo di gesti armoniosamente sclerotizzati, di una smorfia muta in sospensione tra svelamento e trattenimento.
Una drammaturgia lineare scomposta e ricomposta seguendo un ordine non logico. Una stupenda eresia volta a crescere niente. Una richiesta di pietà volta al nulla.
ERBARME DICH si sviluppa nel soffocante luogo del quotidiano costretto.

 dedicato ad A.Z.












DUPLICA

di e con Paola Bianchi
elaborazione suono Paola Bianchi
luci Paolo Pollo Rodighiero, Chiara Girolomini
tecnica Chiara Girolomini
foto Valentina Bianchi
produzione Agar
in collaborazione con INCANTI/Controluce Teatro d'Ombre _ Torino, L’attoscuro,
Teatro Comunale Rosaspina _ Montescudo, Istituzione musica teatro eventi _ Rimini,
Teatro dei Cinquequattrini, Teatro A. Massari _ San Giovanni in Marignano,
KosmosTheater _ Vienna
si ringrazia Teatro Comandini _ Cesena, Ivan Fantini, Roberto Giari, Fabrizio Albanesi,
Rosa Mogliasso, Fancesca Divano


Un monologo autistico a due voci. Un dialogo muto, a volte sordo, tra il corpo e la sua immagine. 
Il viaggio di un corpo, della sua ombra, della dissoluzione dell’ombra e della caduta del corpo in uno spazio nudo, svelato, sospeso nel “tempo puro” sottratto al corso del tempo.

Un corpo, solo. Intrappolato nel nero. Condannato a un duplice sguardo. Mostruosamente riflesso, in una continua ricerca di un altro da sé. Salome costretta al ballo in un’orgia di potere senza potenti. 
Sono l’asino svelato che porta il peso dell’inabilità per eccesso di luce.

L’idea di partenza di Duplica è stata il desiderio di sperimentare il mondo dell’ombra e della luce utilizzando unicamente il corpo, il mio corpo.
Ho affrontato questo progetto con uno stato di assoluta apertura verso nuove possibilità. Non ho opposto resistenze, mi sono resa disponibile ai fallimenti e alle contraddizioni.

Ho lasciato che un sentimento di insicurezza mi accompagnasse per buona parte del percorso. Per la prima volta ho abbandonato la certezza di un senso predefinito dettato da una drammaturgia costruita in precedenza, per crearne uno nuovo attraverso le varie possibilità che la ricerca sull’ombra mi offriva. Ho lavorato per sottrazione di mezzi. La luce sul corpo, l’ombra del corpo. 
La frase che mi ha accompagnato fin dall’inizio è stata: “non conosco la materia”, insieme a una decisione: il nero.
Nero su nero. Davanti e dietro. Entro e esco. I passaggi si fanno traumatici. Ogni passaggio è un cambiamento di stato del corpo, della coscienza del corpo e di ciò che palesa nel movimento, nella stasi.

Entro nello spazio che mi svela – è un’uscita. Entro nello spazio che mi protegge e non so dire se è un’entrata o un’uscita. L’imbarazzo del passaggio. La difficoltà. Il mondo dell’ombra protegge. Il telo che divide l’azione dallo sguardo acquista spessore, difende. Modifica il senso del fare sulla scena. La proiezione dell’immagine diventa un luogo fuori da sé. L’attenzione va oltre il corpo per schiantarsi in uno spazio piano, appiattito, verticale. La tridimensionalità svanisce mentre l’ombra implacabilmente rivela.








ABSTRIAL

all streets of the world collapse in our mouths 

concept Paola Bianchi (I), Ivan Fantini (I), Pia Palme (A), Electric Indigo (A)
direction and coreography 
Paola Bianchi
composition for baritono solo, 3 female voices and contrabass flute 
Pia Palme

composition for computer and 10 speakers Electric Indigo
text 
Anne Waldman (USA), Pia Palme, Ivan Fantini
installation 
Ivan Fantini
light design 
Paolo Pollo Rodighiero (I)
space design Pia Palme, Paola Bianchi, Ivan Fantini
sound design Christina Bauer (A)

with Paola Bianchi, Pia Palme, Electric Indigo
voices Bartolo Musil, Eva Kumpfmuller, Johanna von der Deken, Anna Hauf
organization Caroline Profanter

photography Markus Gradwohl

coproduction Suono, KosmosTheater
with agar, MA 7 Kulturabteilung der Stadt Wien, bmukk Bundesministerium fur Unterricht, Kunst und Kultur, Erste Bank


ABSTRIAL is radical contemporary opera with maximum transparency, an ephemeral presentation of imperturbably continuing processes. Ivan Fantini's installation made of bread dough and glasses constitutes the ideational axis for the performances of Paola Bianchi, the two composers who play live, and the vocalists. Guiding themes are the disintegration of quotidian values, meanings and fabrics, and consequently arising structures re-composed by the artists. The gradually changing installation resulting in falling glasses join with Anne Waldman's text to create structure and rhythm ruling decomposition and reorganization. ABSTRIAL connects the material level directly to contemporary composition, electronic music and text. The made-up word ABSTRIAL is consequently a composite of "abstraction" and "material".































UNO _ frottola contemporanea

di e con Paola Bianchi
testi Giuseppe Genna - estratti da Italia De Profundis
elaborazione suono e voce Paola Bianchi
musica Fabio Barovero
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
tecnica Chiara Girolomini
foto Valentina Bianchi
produzione Agar
si ringrazia Istituzione musica teatro eventi – Comune di Rimini, Valentina Buldrini, Ivan Fantini, Città di Ebla, KosmosTheater

questo è il tempo che ha divorato, digerito, evacuato i sogni.
questo è il tempo che ha sostituito i sogni con ombre iridescenti di inesistenza sempreguale...
questo è il tempo che ha espulso lo spirito dallo spettro di possibilità dell’umano.

                                                                                                                          Giuseppe Genna

UNO è un atto senza parole, senza soluzione, senza finale, senza partita.

uno si trova: devo fare. uno prova, si siede, sparisce. 
uno si sente vivo, è camuffato. uno cerca la strada. uno si arrende.
uno parla. uno potrebbe non rispondere. uno potrebbe andarsene.
uno è unico e chiunque.
che volto ha “io”’?    

all’interno delle nostre stanze virtuali cambiamo identità e umori misurandone l’effetto su spettatori da schermo – platea frammentata in singole unità.
la non-identità o meglio ancora l’anidentità, usando l’alfa privativo piuttosto che il prefisso negativo, è la vera protagonista di UNO. incapace di trasformarsi realmente, pur cambiandosi di costume, incapace di partecipare fino in fondo all’azione che svolge, incapace di prendere decisioni improvvise, in aritmia atonale. uno stare lì senza essere lì. movimenti incompiuti, dubbiosi, approssimazione del gesto. un fare senza senso assoluto, fine al momento dell’azione, all’attimo in cui avviene. uno scivolamento nel dubbio del fare non definitivo. indecifrabilità del segno.
in UNO c’è desolazione, disastro annunciato. c’è il silenzio imperfetto del nostro tempo. l’analfabetismo estetico del meidinitali. a creare questa desolazione e questa fatica dello stare contribuisce un testo registrato in voce tratto dal libro Italia De Profundis scritto da Giuseppe Genna, uno degli scrittori più interessanti del panorama italiano, che con la sua prosa colta e mai banale devasta i nostri cuori.

questa stanza decadente si colora ad hoc delle tinte necessariamente inutili di un’esistenza fasulla.
qui non succede mai niente.
e in questa solitudine uno non è nemmeno in grado di ballare...



UNO _ frottola contemporanea from paola bianchi on Vimeo







VISIONI IRRAZIONALI _ Come Conigli

ideazione e coreografia Paola Bianchi
musiche originali Fabio Barovero, Gionata Bettini
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
produzione Agar
in collaborazione con Santarcangelo 07 International Festival of the Arts,
Velvet Factory, Giardini Pensili, centrale FIES, Città di Ebla
si ringrazia Giacomo Sega, Leandro Lotti, Katjuscia Fantini, Ivan Fantini


Se il numero è ordine, come accordo di elementi illimitati e illimitanti, e se tutto è determinato dal numero, tutto è ordine.                                    Pitagora


Il progetto Come Conigli nasce dallo studio sulla serie dei numeri di Fibonacci (1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 233 377 610 987 1597 2584 4181 6765…) e della sezione aurea.

Il tendere all’infinito della serie dei numeri di Fibonacci -con una rapida progressione, come una salita continua e inesorabile verso l’alto-, il processo di crescita costantemente uguale a se stesso proprio della sezione aurea e il rapporto aureo che scaturisce dai due fenomeni –un numero irrazionale e indicibile, folle e inebriante- mi hanno affascinata e conquistata.

Come Conigli prevede una serie di visioni pubbliche uniche e diverse tra loro che fungeranno da materiale di lavoro per la realizzazione di un eventuale spettacolo.
Durante la creazione di un nuovo spettacolo, mi capita spesso di avere delle “visioni”. Mentre studio, penso o dormo alcune immagini affiorano, le trascrivo e le utilizzo al momento della stesura della drammaturgia. Diventano materiale di lavoro su cui riflettere. Immagini da trasformare in sala. Questa volta presenterò pubblicamente le “visioni”, un po’ come se aprissi il quaderno dei miei appunti, rendendolo visibile e realizzato.

Le visioni irrazionali – numerate seguendo la successione di Fibonacci - nascono direttamente nei luoghi con modalità di intervento diverse (installazioni video, installazioni sonore, performance, rappresentazioni teatrali). 

La combinazione delle visioni crea un luogo fuori dal luogo, osceno per il suo essere fuori della scena.
visione irrazionale 1
con Matteo Garattoni, Valentina Bravetti
precisione/imprecisione, perfezione/imperfezione, pulizia/disfacimento 

visione irrazionale 1
con Matteo Garattoni
e la partecipazione di 1 1 2 3 5 8 13 di tanti
Rettangolo aureo, appiattimento organico, omologazione comportamentale. Lo spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato diventa spazio chiuso, visibile in ogni suo punto. Individuo costantemente esaminato e controllato, fabbricato secondo una tattica di forze, acefalo come “senza testa”, trasposto in “senza volto” ovvero Anonimo.
Indagine sul corpo manipolato.
Moltitudine oscena – al di fuori della scena.

visione irrazionale 2
con Leonardo Diana
si ringrazia Lotti di Lotti Leandro
Movimento reale/movimento apparente. Uno stillstand che è soglia tra immobilità e movimento. Vitalità dell’immobilità mobile. Percezione visiva distorta, deviata e deviante.


visione irrazionale 3 
con Matteo Garattoni
Movimenti ordinati dai numeri. Ordine nel disordine. Forze interne che compongono il movimento. 
L’uomo, misura di ogni cosa, il cui simbolo è esplicitato nell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci ha perso il suo senso d’esistere. E’ svanito l’armonico equilibrio.



visione irrazionale 5
con Valentina Buldrini
Forze interne che scompongono il movimento. Rottura, disfacimento. Impossibilità a stare, qui, ora.
5, il numero delle piaghe di Cristo.



visione irrazionale 8 
con Alessandro Bedosti
Sorveglianza permanente, esaustiva, onnipresente. Videosorveglianza, sistema di visione dissimmetrica. Catalogazione, classificazione, archiviazione delle azioni. Individualizzazione dell’osservato. Né attori, né spettatori, ci troviamo immersi in una macchina panoptica, investiti dai suoi strumenti di potere che noi stessi trasmettiamo. Collezione di individualità separate. La solitudine è la condizione prima della sottomissione. 



visione irrazionale 13
con Valentina Bravetti
Caducità, staticità della caduta. Angelo caduto.




visione irrazionale 21
con Elisa Depentor/Giulia Di Giannatale
perfezione innocente



visione irrazionale 34
con Valentina Bravetti
forze che inchiodano


visione irrazionale 55
con Alessandro Bedosti
dePEAUsition
preparazione iconica in potenziale de-volo



visione irrazionale 89
con Alessandro Bedosti
exPEAUsition
preparazione atletica in potenziale liberazione dalla materia



visione irrazionale 144
installazione
identità offesa


visione irrazionale 233
con Paola Bianchi
de-pensamento dell’immagine. post-mortem in latrina


visione irrazionale 377
installazione
dell’immagine frantumata

visione irrazionale 610
installazione
identità violata




SINESUIDE _imposizione verticale

di e con Paola Bianchi
grazie a Ivan Fantini
produzione  Adius, Agar
con la collaborazione di  Blusuolo centro arti performative


... che altro siamo se non potenziali carcasse. Quando entro in una macelleria, mi meraviglio sempre di non essere io appeso lì, al posto dell’animale...                                                                   Francis Bacon

Sinesuide – imposizione verticale nasce dalla lettura di Troismi di Marie Darrieussecq. Il romanzo racconta della lenta trasformazione di una donna in scrofa. Attraverso un doloroso processo fisico e psicologico la giovane fluttua da uno stato all’altro con ritmi che non sa decifrare.
Il suo corpo cambia. -...la nuca, i fianchi e la curva delle reni mi davano delle fitte lancinanti. dovevo fermarmi spesso e far rientrare il petto nelle spalle per allentare un pò la presa...- 
i suoi desideri e i suoi gusti cambiano. -...non potevo più mangiare panini al prosciutto. mi davano la nausea... quello che mi fa male confessare è che, i fiori, io me li mangiavo. li mettevo in un vaso, li contemplavo a lungo. e poi li mangiavo...- 
La sua sensibilità cambia. -...sentivo, sopra gli alberi, le penne dei passeri sgualcirsi nel loro sonno precoce... sentivo i loro sogni che mi scivolavano sulla pelle con gli ultimi raggi del sole calante.... vedevo di nuovo male, torbido, come se fossi affetta dalla miopia dei pipistrelli... mi sono ritrovata a quattro zampe. era terribile perchè non riuscivo più a ruotare i fianchi. ero come paralizzare nella parte posteriore, al modo di certi vecchi cani. facevo forza sulle reni ma non c’era niente da fare, non riuscivo a mettermi ritta...-

Attraverso l’interiorizzazione della trasformazione da essere umano a maiale il lavoro coreografico si sviluppa all’interno del corpo, delle fasce muscolari, della postura scheletrica. Un corpo costretto in uno spazio chiuso, ridotto. Una coreografia di postura, di tensione.

AZIONE
stanza chiusa.
installazione di un corpo costretto in un luogo preso a prestito.
la stanza bianca.
asettica, pulita, piastrellata. piano di lavoro del macello.
modernità del macello
sottovuoto.
non è permesso spiraglio di buio, non è concessa aria esterna.
il colore della carne si staglia nel bianco senza intaccare il candore dell’intorno.
la carne non si disfa. compatta, accetta di stare nella struttura che la contiene, la pelle.
violenza subita. violenza creata per reazione.
rumore silente delle viscere.
modernità del macellato

grazie a blusuolo III per l’attenzione e la cura,
a Francis Bacon e Marie Darrieussecq per i pensieri e le opere

SINESUIDE imposizione verticale from paola bianchi on Vimeo.



adius utopia

ideazione ivan fantini
coreografia paola bianchi
installazioni ivan fantini
in scena paola bianchi
primo video: riprese serena saltarelli, elaborazione e montaggio paola bianchi
secondo video: paola bianchi
produzione adius, agar
in collaborazione con blusuolo III
anno di produzione 2002 | ripresa 2012






















... e noi che siamo esseri liberi, un ciclo siamo macellati, un ciclo siamo macellai.
G. L. Ferretti

adius utòpia è stato ideato e creato nel 2002.
nasceva dall'esigenza di scandagliare un presente che non si poteva modificare, denunciare un passato che non si poteva più correggere e nel timore di un'idea di futuro che avrebbe sommato gli errori.
dieci anni dopo possiamo purtroppo dire di non esserci sbagliati poichè la somma di quegli errori caratterizza il nostro presente e l'attualità di adius utòpia.

adius utòpia è esposizione dell’intervento volta ad affermare la veridicità dell’atto reso fruibile e/o negabile all’individuo, è estetica dell’irruzione che scardina la consuetudine quotidiana per mezzo del    reale, è contaminazione delle discipline spinta ad allargare gli orizzonti del pensare-creare l’atto artistico e l’individuo quale artista, è il quinto quarto in scena senza finti moralismi quale riscatto di tradizione e creatività a dispetto dello spreco, incarnato a valenza di status symbol e perpetuato dalla nuova economia. Tersicore e Gasterea ad elargire creazioni, impossibili da ripetersi e perdute per sempre.
Il quinto quarto che origina adius utòpia comprende testa, coda, piedini e tutte le interiora del maiale, somma di proteine spesso ignorate, condannate, rifiutate in nome dell’assurdo pregiudizio detto schifo. 
adius utòpia esalta e valorizza ciò che resta di un animale di razza suina macellata, una volta tolti i quattro quarti. Il quinto quarto detto taglio di bassa macelleria, più economico, in grado di soddisfare le necessità alimentari di chiunque, diventa per la società ad economia avanzata prodotto secondario, favorendo così l’incremento economico dei tagli di prima scelta.
adius utòpia non favorisce i sottoprodotti alimentari, l’arricchimento di inscatolatori di cibi per cani e gatti, il consumismo, le deviate abitudini alimentari. Esalta invece la tradizione laddove questa genera    creatività. Intuizioni antiche, memoria, valori culturali.
Lo scenario del quinto quarto in adius utòpia si intreccia con il macello umano inteso come spazio asettico, antisettico, claustrofobico, laddove l’umano quotidianamente stenta nel vivere.











CESSIONE

ideazione e coreografia Paola Bianchi
in scena Valentina Buldrini, Paola Bianchi
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero















Io sono davvero il più grande di tutti perchè posso prendere trecentomila lire per sera e anche mezzo milione e mandare un altro a cantare al posto mio. Tanto chi conosce Piero Ciampi?                                    Piero Ciampi _ giugno 1976 Roma

una figura
agisce in uno spazio VUOTO, NERO
un’altra figura
non agisce
il suo è uno spazio ROSSO
la prima figura percorre gesti eseguiti in tempi lontani
gesti morti, persi nel buio delle sale. gesti che vanno riletti
l’altra figura è seduta
mostra la schiena
una latrina, un cesso
il tempo della prima figura è un tempo sospeso tra il passato e il presente 
è il tempo della memoria, il ricordo interpretato, tramandato e mai reale
un tempo che non si colloca
il luogo dell’altra figura è il luogo dello scarto, solitario e intimo, il luogo del pensiero muto
uno spazio chiuso, definito
la prima figura tenta di far rivivere l’immagine
l’altra figura celebra il senso dell’immagine morta
la prima figura compie un percorso. attraversa anni e gesti
l’altra sta, aspetta
non percorre
a volte accenna



PER FIGURA SOLA
ideazione e coreografia Paola Bianchi
con Valentina Buldrini
musiche originali Fabio Barovero
disegno luci Paolo Pollo Rodighiero
comunicazione e organizzazione Francesca Divano
produzione Agar
in coproduzione con Marco Bianchi, Campo Campi, Luciano Nicolini, Benito Bianchi, Piero Bona,
Giancarlo Giorgi, Riccardo Nicchi, Zutart, Città di Ebla, Laura Gobbi, Bruno Monaco, KosmosTheater, Ivan Fantini
con il sostegno di Santarcangelo Festival 2008 e Teatro Petrella di Longiano















spazio vuoto
sul pavimento un tracciato, segni a delimitare lo spazio d’azione, a indicare la direzione.
un foglio di appunti tracciati sul palco.
un percorso obbligato, deciso a priori.
sulla scena una figura sola.
per lei ho costruito lo spettacolo.
per quella figura solitaria e disorientata che entra e esce dalla scena pur restando sulla scena.
il suo stare lì davanti a noi diventa a tratti esposto, a tratti inposto (un es e un in che si alternano come l’atto più naturale che compiamo in ogni momento, la respirazione)
un lavoro sullo stare sulla scena.



Homós
apologia dell’enantíos
odissea dell’immobilità / Come Conigli
ideazione e regia Paola Bianchi    
con tredici performers 

Homós (greco)  uguale
Enantíos (greco)  opposto
La rappresentazione dell’uguale in difesa dell’opposto. Si manifesta l’uguale per esaltare la singolarità dell’opposto.

Homós è il momento di incontro dei due progetti che Paola Bianchi sta sviluppando dal 2004, “Odissea dell’immobilità” e “Come Conigli”.
Dal progetto di creazione a tappe Odissea dell’immobilità nacque l’idea di sviluppare un lavoro intorno alla clonazione, ma indagando in questo delicato ambito sono arrivata ad alcune conclusioni:
- la clonazione è la riproduzione di un essere con le stesse fattezze fisiche, esteriori, ma non di carattere, di pensiero
- l’omologazione è la produzione/costruzione di esseri umani con gli stessi desideri, gli stessi pensieri, gli stessi interessi, gli stessi gusti. Clonazione culturale.
- la clonazione non è legale
- l’omologazione è più che legale: è alimentata dal potere, il potere economico che ha sostituito da tempo il potere politico. L’omologazione è la conseguenza nefasta della globalizzazione selvaggia e in qualche modo ne è anche la causa.
Dal progetto Come Conigli nasce invece l’idea della ripetizione seriale e numerica delle azioni, l’uso dello spazio in cui si svolgerà la performance, il numero dei performers.

Siamo noi ormai incapaci a lasciar fluire le energie e i desideri, o siamo manovrati inconsapevolmente?
O meglio, vogliamo essere manovrati per incapacitá, o lasciamo che ció accada senza la minima consapevolezza?



Corpus Hominis
ideazione e coreografia Paola Bianchi
in scena Alessandro Bedosti, Matteo Garattoni, Piero Leccese
musiche originali Fabio Barovero
disegno luci Fabio Sajiz
organizzazione Chiara Gallazzi
relazioni e ufficio stampa Francesca Divano
una produzione Agar, Torinodanza, Regione Piemonte
in coproduzione con drodesera>centrale Fies
in collaborazione con Città di Ebla
si ringrazia Cango Cantieri Goldonetta, l’arboreto, Raum, Blusuolo centro arti performative,
Cristina Riccati, Silvia Parlagreco, Ivan Fantini
















Rappresentiamo il tempo della ragione minima e della distruzione massima.
      Ulrich Beck

Il lavoro parte da una riflessione sul corpo come luogo in cui si inscrivono i rapporti di dominio e di subordinazione. Non rivelerò il potere. Rivelerò la vittima, vittima di se stessa, di quel self care che è la cura ossessiva, quotidiana: il corpo.

corpi, soli, spettatori del mondo
corpi senza corpo
WILL YOU HELP ME?
corpi dissociati in organi, materia fisiologica relativamente passiva
corpi medicalizzati
corpi che scompaiono, che si disfanno per vibrazione
PRIMA FUGA
corpi misurati ed esibiti, ordinati e puliti nella bellezza del loro apparire
corpi celebrati
corpi sottoposti al tempo dell’esercitazione, della preparazione, della civilizzazione, dell’educazione, della conversione. corpi addestrati, disciplinati, flessibili, plasmabili.
corpi docili. superfici di scrittura, marchiati dal testo della legge
SECONDA FUGA
corpi puniti, uniformati, corretti, colonizzati, omologati
corpi massificati nella solitudine
corpi in-formati, regolati
morte cerebrale come criterio necessario e sufficiente alla diagnosi di morte dell’individuo
egemonia dell’encefalo
corpi come “cose”, corpi catatonici
corpi plastici, corpi-merce
“tutto potrebbe essere diverso, ma quasi nulla io posso modificare”
LA RESA NECESSARIA
angeli che cadono all’inferno, dannati che scendono agli inferi
vittima/carnefice - i ruoli si confondono
intimità pubblicamente esibita e quindi negata
corpi materiali che rimangono
invalidi della civilizzazione
NULLA
STASI
In una società definita somatic society tecnologie epistemologiche, etiche ed estetiche disciplinano, adornano, puniscono, celebrano il corpo.
Ogni società parla di corpi, li plasma, li orienta, li segna, li riduce a ragione.
STILI DELLA CARNE



Odissea dell’immobilità
progetto di creazione a tappe

Il viaggio stanziale. La fuga che non trova la via. Moto in luogo, l’energia si genera, si alimenta e sfocia all’interno. Perfetto/imperfetto. Contraddizione dell’ossimoro.

Lo spunto per il progetto è il testo “La Trilogia della città di K” di Agota Kristof, ma la mia indagine si è spinta oltre il testo, individuando così alcuni temi di interesse:
gemellarità simbiotica/coppia eccellente/indivisibilità del doppio/equilibrio precario
gemellarità siamese/freaks/occhio spia
divisione/separazione
moltiplicazione/clonazione/omologazione
criptofasia
esercizi di irrobustimento psicologico attraverso il lavoro fisico/ripetizione/perfezione/superamento del limite



Chrónoshomo
odissea dell’immobilità # 4
esercizi personali in pubblica visione

di Paola Bianchi
con Alessandro Bedosti, Matteo Bologna, Matteo Garattoni
organizzazione Chiara Gallazzi
produzione Agar, Torinodanza, Drodesera>Centrale Fies















Chrónoshomo, il tempo della macchina uomo.
il corpo come macchina in costrizione.
laboratorio anatomico. il corpo si misura con se stesso.
non c’è volontà di espressione, di comunicazione.
la forza lavoro del corpo danza nell’immobilità, nella variazione di tensione, nella lentezza forzata, nella ripetizione incessante.
ricerca della perfezione nell’imperfezione del corpo.
esposizione dello studio, di un allenamento quotidiano, del lavoro fisico personale, singolo.

Della parola chrónoshomo, greca e latina insieme, mi diverte l’assonanza con cromosoma, il luogo in cui hanno sede i geni portatori dei caratteri ereditari, così come in questi esercizi ha origine il mio studio sul corpo, una sorta di mappa genetica del movimento.

Chrónoshomo è la quarta tappa del progetto Odissea dell’immobilità, liberamente ispirato alla “Trilogia della città di K” di Agota Kristof.



Kytos
in potere
odissea dell’immobilità # 3

di e con Paola Bianchi
creazione sonora Alessandro Bartolucci, Paola Bianchi
tecnico di scena Francesco Nistri
realizzazione scenografia Renato Ostorero
sguardo esterno Katjuscia Fantini
organizzazione Francesca Divano
produzione Agar, Festival Crisalide, l’arboreto di Mondaino, Città di Ebla
si ringrazia Controluce, Yann Gioria, Francesco Renzi


# 3
Kytos  cellula
in potere  traduzione dall’antica locuzione di origine germanica “à bandon”, da cui deriva il francese “abandonner”, da cui a sua volta deriva l’italiano “abbandonare”.

Divisione/separazione/abbandono/distacco

Ora sono come tutti: unico, inequivocabilmente unico, unico e solo, solo come tutti voi.
Mauro Covacich - Anomalie

L’inutilità del singolo escluso dal rapporto con l’esterno.
Campo d’azione ridotto, limitato.
Cellula separata, isolata, sparigliata. Ostaggio di se stessa. Terreno di coltura da solitudine. Riemersione nella sporcizia da solitudine.
Non senso dell’esposizione.
Alienazione ed estraneità per uno spazio conosciuto. Il luogo in cui accade tutto, niente.
Protezione/esposizione. Stallo/moto.
Azione/vuoto.

Due mezze gabbie.
Due metà separate presuppongono un’unità.
Due metà gemelle presuppongono un’identità.
Non c’è unità.
Non c’è identità.
Kytos segue una linea che punta verso il nulla, verso la spersonalizzazione per inutilità.
Impossibilità di scambio: la figura è azione o occhi, spettacolo o spettatore.
La sua è una lenta progressione verso lo sguardo, verso l’attesa, una camminata diretta alla rinuncia dell’azione.
L’unione delle due metà non risolverebbe il suo status.
Irrimediabilmente una, nella metà e nell’intero.
Essere “libero”: sentimento spaventoso ed eccitante al tempo stesso.
Pianto e misura. Riso e disordine.



MONOCORE
odissea dell’immobilità #1
ideazione e coreografia Paola Bianchi    
in scena Paola Chiama, Paola Bianchi    
creazione sonora Yann Gioria    
disegno luci Daniel Demont    
realizzazione scenografia Renato Ostorero   
produzione TorinoDanza, Perceuse Productions, Arsenic, Agar
in collaborazione con Blusuolo, Santarcangelo dei Teatri
si ringrazia Luca Scarlini, Mauro Genugu, Katjuscia Fantini, Cédric Bach – Grand Garage du Nord,
Ivan Fantini















Monocoriale - si dice di ciascuno dei gemelli avvolti da una membrana coriale unica (membrana interna alla placenta).
Monocore - un solo cuore.
Una gabbia. All’interno della gabbia due esseri viventi. Due in uno. Un mondo bifronte, dialogico, duale. Costrizione d’insieme. Un’ingombrante anomalia umana.
Un vigilambulo affetto da eccesso di presenza. Isteria interna. La passeggiata del sonnambulo allo stato di veglia. Realtà isterica di due in uno.
L’equilibrio è la loro salvezza necessaria.

scrittura bustrofedica
il luogo è un campo operativo
forza di accoppiamento / forza di separazione
non c’è inizio né fine.
energia centripeta.
I want to change my shape
I feel like an accident

Si nasce soli e si muore soli
perché noi no?

Disperazione e angoscia si mescolano alla bestemmia, al riso, allo sberleffo, al ridicolo stesso. Depravazione, morbosità dello sguardo.
Occhio/spia.
Attrazione sensoriale partecipe. Riluttanti ma affascinati.
Pornografia dello sguardo

Per Baudelaire, nessuna bellezza sarebbe possibile senza l’intervento di qualcosa di accidentale. Sarà bello solo ciò che suggerisce l’esistenza di un ordine ideale, ultraterreno, armonioso, logico, ma che, contemporaneamente, possiede, come la tara del peccato originale, la goccia di veleno, il briciolo di incoerenza, il granello di sabbia che permette di prevedere tutto il sistema.



morto un poeta, se ne fa un altro
di Paola Bianchi e Ivan Fantini
con Paola Bianchi e Katjuscia Fantini
artifici gastronomici Ivan Fantini
selezione vini Stefano Prioli G.A.&V.
parole e canzoni Piero Ciampi
luci Loredana Oddone
riprese video Paola Bianchi, Paolo Mantelli
elaborazione e montaggio video adius
grazie a Circolo Culturale Piero Ciampi – Senigallia

“E’ un genio, però è pazzo. E’ un infelice... Morirà presto. Non sa vivere. Non sa afferrare l’attimo. E’ alcolizzato. E’ un bastardo. E’ un figlio di puttana. E’ un egoista. E’ un cagacazzo. E’ inaffidabile. E’ pericoloso. E’ un pagliaccio. E’ un artista, ma peccato... E’ un peccato. E’ come vorrei essere, ma non ho voglia di diventare, perché la paura mi fotte... E’ un giornale di ieri... E’...”

Di Piero Ciampi si disse tutto e niente. Si disse che le sue non erano canzoni, che non erano poesia. Canzone e poesia. Né l’una né l’altra. Una terza via, non comune, altra. Essere qui, per noi, le nostre mani, i nostri artifici tesi a rendere in un altro modo “terza” quella via. Mangiare, bere, vedere, annusare, sentire il poeta. Foglietti volanti, gesti che vogliono perdersi.

Il 19 gennaio 1980 chiese un fiore e un bicchiere di vino fresco e andò a cenare sulle stelle.



diciassette per una nubile senza candele
di paola bianchi e ivan fantini
con paola chiama, silvia parlagreco, paola bianchi, ivan fantini
musiche AA.VV.
elaborazione suono paolo pollo rodighiero
illustrazioni katjuscia fantini
coproduzione Assessorato alla Cultura del Comune di Fidenza, G.A.&V., Agar, Adius

il rituale convulso, lacerato e consegnato, di un frammento infinito mai remoto, incarna l’attualità del difetto - fisico - umorale - tattile - come provocazione allo stupore, intensa percezione di imbarazzi, agente destabilizzante mai mostrato, evidenziato, sbandierato, piuttosto in senso edonistico, un atteggiamento etico motivato dalla ricerca e dall’esaltazione del piacere, offrendo preziosi indizi descrittivi e pittorici per diventare invenzione, poesia, movimento, attraverso un barometro di espressioni personali e collettive, metafore sociali e politiche, ... cultura.

Non siete qui per il vostro piacere, al posto Signori

ingresso lento / processione di sguardi / primo piano sulle scarpe / rosse / zampe da pollaio / trasparenze volontarie sotto la luce delle candele / questo corridoio è sempre uguale /
pensa alle ore passate / perse / lei, pensa ai giorni di clausura volontaria /
per rifiuto esterno / dall’esterno / dell’esterno /
la sua mano da coprire / la vergogna di essere / senza / lei pensa /
è che forse non ho mai amato questo corpo / e ora lui non risponde al desiderio /
sta - fermo / come un macigno trascinato nella nebbia /
ma il corridoio è sempre uguale / e si ripete come ossessione di parole non dette /
adesso non è chiaro se è lei che pensa o è una voce fuori campo che regala parole alla sua immagine / sottotitoli beffardi /
i fiori sono troppo lontani per essere sfiorati /
deve stare / e ancora non ha capito se vuole o deve / si ripete - si riveste /
la sua esposizione muore ogni sera / spegne la luce e non sa se stare ancora /
per non cadere nel buio / per restare a guardare / dall’alto /
per essere come è stato deciso / per dichiarare di aver deciso / non c’è più tempo /
la scena si svolge da un’altra parte / la sua immagine cambia /
il suo corpo è quello che non è più /
ma la menzogna della finzione non può svanire con la luce /
allora riparte la voce, quella fuori campo, pensa / ma nessuno le crede /
è sempre lei che parla / le parole a volte possono strappare la carne /
ma qui nessuno parla di morte / e le ferite si cicatrizzano per dimenticanza /
la donna che ossessiona la visione cambia aspetto / le assomiglia / è sempre lei /
non vi regalerò un minuto di più / non vi ruberò uno sguardo prolungato /
sentire la mia voce e non riconoscerla potrebbe deformare la percezione / lei pensa, /
tornerò santificata, sputtanata, svergognata e immolata /
per salvare la faccia dei miei padri che non si voltano mai.



in bianco
volo nuziale senza ali
icona per forza  Paola Bianchi
elaborazione suono  Roberto Cecchetto
scenografia  Valeria Di Munno, Cristina Gallo Bruno, Erica Moscon, Sandra Pavic, Oscar Racca, Paola Silvestro, Elisa Stroppiana - Accademia Albertina Belle Arti,To Corso Scenografia E.Ajani & G.Costagliola

      Sei solo? hai freddo? sai fino a che punto l’uomo è “te stesso”? imbecille? nudo?
                                                                   Georges Bataille

Esposizione. nuda immobilità del ricordo. la certezza del non più. un viaggio a ritroso nella storia, la stessa, quella che si ripete. non c’è cosa che vada a segno senza prima aver toccato il fondo. lei resta. immobile. aspetta. chi attende finisce per consegnarsi a una verità odiosa: se attende, è perché egli stesso è l’attesa. l’uomo è l’attesa. di non si sa cosa. allora vai, abbandona il reliquiario, la macelleria dei ricordi, dei non più. esibisci le ali rotte

I DON’T LIKE HIM, LET’S KILL HIM

di chi parli? per chi batte il cuore che nascondi? icona del senso contrario. le azioni si infrangono in cadute fin troppo previste. spennata come un pollo, in segno contrario al volo nuziale. piccole morti distorte da tentativi trattenuti.
you have an erection  e lo spazio ne è pieno. sventura delle sventure. ma chi ha detto che le due immagini più comuni sono la croce e il cazzo? la vuoi silente e vestita? madonna musulmana incoronata regina nel cassetto del tuo comodino da notte?

THAT’S ALL FOLKS!!



Triptychos
di Paola Bianchi
assistenza Paola Chiama
luci Paolo Pollo Rodighiero
scelta musicale Lucio Spaziante

produzione
Il Mutamento ZC di cultura globale, Montenegrian Mobile art, Agar

Inter faeces et urinas nascimur
 S. Agostino

Quella di Francis Bacon è forse la pittura più inquietante del nostro secolo. Pittura oscena, pittura che scava dentro i volti e le figure umane attraverso la deformazione cercandone l’essenza. Anatomia dell’anima. Distorsione. Variazione. Il pennello di Bacon si insinua con gesto brutale dentro i corpi per estrarne il nascosto. Carne. Macello. Carne macellata sulla tela. Pornografia dell’anima.

All’opera pittorica di Francis Bacon e in particolare ai suoi numerosi trittici, alla rara solitudine che contraddistingue le figure che li abitano, si ispira Triptychos. Esposizione di un lavoro partito dalle coste del Montenegro nel giugno 2000 per raggiungere poi il festival di Santarcangelo, Triptychos nasce da un workshop. Dai partecipanti non cerco la perfezione tecnica, cerco corpi in grado di ascoltare e ascoltarsi, digerire e elaborare le immagini che il mio studio su Francis Bacon ha prodotto: sovrapposizione di figure ai corpi umani, intima solitudine, ricerca continua di un’animalità interna insita nei nostri movimenti. Triptychos  nasce ogni volta diverso perché i protagonisti cambiano e quindi il modo di vivere e interpretare i miei impulsi varia. Un work in progress nomade, un’esposizione itinerante che vedrà di volta in volta protagonisti e luoghi diversi. Luoghi non teatrali, per scelta, perché non si tratta di teatro, ma come in un atelier, come in una galleria d’arte, lo spettatore troverà situazioni solitarie esposte, mai rappresentate. E allora il mio ruolo non sarà quello di coreografa ma di coordinatrice delle situazioni che via via scaturiranno dalle mie proposte, dalle mie suggestioni, regista di situazioni. L’esposizione stessa sarà il laboratorio. Uno ‘studio’, sì, ma non in senso teatrale bensì come viene inteso nell’arte figurativa: il primo studio di un quadro, una fase di lavoro in superficie e non superficiale.



FIGURA UMANA
teatri anatomici di Francis Bacon
ideazione e coreografia Paola Bianchi
in scena Paola Chiama, Paola Bianchi
luci Paolo Pollo Rodighiero
scelta musicale Lucio Spaziante
produzione Il Mutamento ZC di cultura globale, Montenegrian Mobile art, Agar
con la collaborazione di  Santarcangelo dei Teatri















I Tiresias, though blind throbbing between two lives, old man with wrinkled female breasts...
T.S. Eliot   The Waste Land

solo, abbandonato in spazi vuoti e perversi, il corpo. vittima e carnefice. prigioniero e secondino. immobile in una fuga senza fine. carne macellata dall’interno. carcassa crocifissa, inchiodata. “Il fetore del sangue umano mi sorride” gridano le furie di Eschilo.
FLESH        MEAT
e allora, qual è l’orifizio da cui può fuggire il corpo? buco aperto. grido silenzioso. la forza penetrante del sesso maschile contro la potenza divorante del sesso femminile.
POSTURE DI EMERGENZA
ha inizio una battaglia interna, una guerra persa in partenza, combattuta ad armi pari tra la staticità e il moto, giocata per necessità di sopravvivenza, per desiderio frustrato, con accecante brutalità.



FreaK
icona vivente  Paola Bianchi
icone video  Paola Chiama, Paola Bianchi
video  Elena Pachner Sarno
scelta immagini  Paola Bianchi, Rosie Dileo
montaggio  Maurizio Bonino
luci e suono  Paolo Pollo Rodighiero
si ringrazia il Laboratorio Audiovisivi della Facoltà di Architettura di Torino

Ho sentito sul mio corpo prima di addormentarmi il peso dei miei pugni all'estremità delle braccia leggere.
              Franz Kafka

L'icona danza. È la sua danza marcia che continua e corre. Estas son mis venas. L'anima del rosso resta sospesa tra la carne e il cielo, tra la terra fertile e il sangue rappreso come una ferita aperta che non sanguina. Una corda che non si rompe. Esto es mi cuerpo. Elastico teso tra il corpo e l'immagine morta. Un "già fatto" che si ripete vivo, carnale, autentico e finto come solo il teatro sa essere. Dove finisce la finzione? Silenzio. Un corpo ferito, esposizione di un corpo in intima deformazione, un'icona vivente, mortale, antitesi. L'icona danza. Mostra. I suoi mostri.
È troppo peso, troppo scuro? FreaK, be free.

FreaK  è la seconda tappa di un percorso maturato intorno alla pittrice messicana Frida Kahlo, dopo FK.
FreaK, performance, azione in cui immagini video e movimento si compenetrano; il video diventa ora occhio indiscreto teso a spiare dettagli, ora ausilio e sdoppiamento interpretativo.



FK
ideazione e coreografia Paola Bianchi
in scena Paola Chiama, Paola Bianchi
voce Virginia Levy Abulafia
luci Paolo Pollo Rodighiero
costumi Roberta Vacchetta, Elena Gaudio
elaborazione suono Nicola Zonca
musiche tradizionali messicane

si ringrazia
Teatro di Leo - Spazio della memoria, Teatro Dada di Castelfranco Emilia, Teatro Comunale di Cagli.

Chiunque abbia costruito un nuovo paradiso ne ha trovato la forza solo nel proprio inferno
F. Nietzsche

Ispirato alla pittrice messicana Frida Kahlo, FK non è il racconto della sua vita o la traduzione teatrale dei suoi quadri, ma uno sguardo in profondità sui suoi desideri, le sue paure, l’eterna ambivalenza tra esaltazione per la vita e fascinazione per la morte, maternità negata e desiderio di procreazione. La sua pittura racconta la storia di un corpo che si esibisce, trasmettendo uno stato di angoscia e di eccitazione. Espone il suo corpo alla maniera di un martire dell’iconografia religiosa cristiana. Pittura di un corpo, pittura di esibizionismo: non è forse vero che il corpo è qui per essere esposto? Se no, perché scrivere, dipingere o danzare? Il desiderio di essere visto, di essere guardato, è tanto primitivo quanto il desiderio di vivere.

Il corpo che si esibisce, che si espone. FK. Frida Kahlo.

Mi sono avvicinata alla pittrice messicana per l'inquietudine che i suoi quadri mi rovesciano addosso: il volto impassibile alla maniera dei martiri dell'iconografia cristiana - i colori vivi e le strane forme legate al Messico - il contrasto - il volto sofferente perchè percorso da lacrime, mai maschera tragica, orgoglioso - l'esposizione senza compromessi del proprio corpo straziato, ferito, mutilato - una continua provocazione - una sorta di masochismo necessario. L'incontro tra la danza - sinonimo di forza, potenza muscolare, leggerezza, gesto ampio - e il corpo in costrizione, con difficoltà motorie, l'attrito tra il desiderio di muoversi e l'impossibilità di farlo, mi hanno attirato come una calamita.
FK - gli opposti - impossibilità/possibilità - desiderio/realizzazione - maternità negata/risolta - due donne in scena: una l'opposto dell'altra.



FLATUS, un canto da
coreografia Paola Bianchi
drammaturgia Giovanna Fiorenza
musiche originali eseguite dal vivo Ezio Bosso
in scena Paola Chiama, Paola Bianchi
costumi Osvaldo Montalbano
luci Paolo Pollo Rodighiero

il dramma di un corpo, la sua presenza
flatus, un canto
corpi
esserci state è il loro destino
    potevano sottrarsi a quel destino?
una condizione obbligata, subita
    colpevole?
gli altri
noi che ci laviamo con l’acqua degli occhi
ci ricomponiamo battendo le mani
noi non meno colpevoli di quelli

Lager, carceri, manicomi. Testimonianze diverse, ma simili nella loro tragica essenza. Il lavoro è cominciato così, interiorizzando racconti e immagini.
La drammaturgia: narrazione lineare. Notte, interno di una stanza, una branda e una goccia che cade regolare, persistente. Due donne, i loro incubi, le paure, il momento della tortura, l’attesa, il soccorso, il gioco; e ancora tortura, attesa, soccorso, fino alla speranza in quel grido più forte e risoluto che impedisca di soffocare.
Ma poi ci siamo allontanati dal realismo del racconto per scoprirne l’anima e cercare di tradurre in teatro le emozioni.
E lavorando ci siamo resi conto che i linguaggi diversi si compenetravano in un’unica partitura per quattro strumenti: due corpi, un contrabbasso e una luce; allora non più musica creata per accompagnare il movimento, gesto nato dal suono, luce per colorare i corpi, ma una costruzione compositiva in cui l’interazione degli strumenti è totale nel donare e raccontare l’emozione.